Il Rifugio Città di Mantova
Nel 1978 accadde uno degli eventi più tragici nella storia dell’alpinismo sul Monte Rosa. Il 22 maggio i familiari perdono i contatti con quattro alpinisti mantovani che, dalla Capanna Gnifetti, erano partiti per fare la traversata del Naso del Lyskamm. Il padre di uno di questi contatta Arturo Squinobal, guida di Gressoney e membro del soccorso alpino, il quale fa partire immediatamente la macchina dei soccorsi: per ben quattro giorni guide alpine e soccorritori di Gressoney, Champoluc, Alagna e Cogne, con l’aiuto di elicotteri, battono a tappeto un’area gigantesca del ghiacciaio, in condizioni di tempo pessime, rischiando più volte la vita. Un dispiego di uomini e mezzo purtroppo vano: il 26 mattina, alle 9:30 del mattino, viene trovato il primo corpo sepolto sotto due metri di neve, grazie al fatto che alcune delle vittime utilizzavano uno strumento simile all’Artva, e ai cani da valanga. Gli altri tre verranno ritrovati poco distante.
Le famiglie delle vittime, grate per gli sforzi spesi durante le operazioni di soccorso, raccolsero una notevole somma di denaro che donarono alle guide di Gressoney. Le guide decisero di usare questa somma per costruire un rifugio vicino ai luoghi della tragedia. Alla somma iniziale si unirono i contributi della sezione locale del CAI, del Comune di Mantova, di alcune banche e della Valle D’Aosta: il rifugio venne inaugurato il 2 settembre 1984 con il nome “Rifugio Città di Mantova”.
La vicenda è narrata dettagliatamente nel libro “Due montanari”, di Maria Teresa Cometto, dedicato alla vita e le imprese di Arturo ed Oreste Squinobal (che parteciparono in primissima persona alle operazioni di soccorso).
In questa pagina ho riportato alcuni articoli tratti dall’archivio del quotidiano La Stampa che documentano:
- i giorni della tragedia, dal 22 al 27 maggio 1978
- l’inaugurazione del rifugio, avvenuta nel settembre 1984.
L’incidente del 1978
Otto articoli, dal 22 maggio (il giorno in cui venne dato l’allarme) al 27 maggio 1978 (il giorno dopo la scoperta dei corpi)
Quattro dispersi sul Monte Rosa
AOSTA — Quattro alpinisti mantovani sono dispersi mei massiccio del Rosa: mancano loro notizie da domenica. Sono Sergio Donati, 54 anni, Ugo Scolari (in realtà Scalori, ndr), 39 anni, Giorgio D’Agliossi (in realtà Begnozzi, ndr), 40 anni, tutti residenti a Mantova, e Vincenzo Zanotti, 33 anni, residente nella provincia. Squadre di soccorso sono partite alla loro ricerca, coadiuvate da un elicottero.
(Stampa Sera, 23 maggio 1978)
Le ricerche sono sempre ostacolate dal pessimo tempo
Dispersi sul Rosa 4 alpinisti
Scomparsi mentre tornavano dal rifugio Sella alla capanna Gnifetti
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
AOSTA — Quattro alpinisti di Mantova sono dati per dispersi da domenica sul massiccio del Monte Rosa, a oltre tremila metri di quota. Gli escursionisti, Sergio Donati, 54 anni, Giorgio Begnozzi, 41 anni, Ugo Scalori, 39 anni e Vincenzo Zanotti, 33 anni, erano partiti dal rifugio Gnifetti (m. 3647) nella alta valle di Gressoney, per compiere la traversata scialpinistica fino al rifugio Quintino Sella (m. 3585), in alta Val d’Ayas. La gita è tra le «classiche» dello sci primaverile: quest’anno, però, a causa dell’abbondante innevamento, comporta difficoltà ambientali particolarmente ardue. Raggiunto il rifugio Sella, i quattro alpinisti avevano deciso di rientrare ripercorrendo lo stesso itinerario. I soccorsi sono stati organizzati lunedì pomeriggio, quando si è avuta notizia del mancato rientro degli escursionisti. Guide e valligiani sono saliti da Gressoney e da Champoluc per compiere perlustrazioni nella zona. Al rifugio Sella è stata trovata una notazione lasciata dai quattro in cui essi spiegano la decisione di rientrare per le avverse condizioni meteorologiche. Alle operazioni partecipa anche un elicottero militare il cui impiego è stato però limitato dalla scarsa visibilità. Le zone di alta montagna sono avvolte da una spessa cappa di nubi e in attesa di una schiarita le ricerche continuano con perlustrazioni di guide e valligiani. Le operazioni sono coordinate dal rifugio Gnifetti, dove ieri sera sono salite anche due guide di Alagna, che hanno portato speciali apparecchi radio in grado di captare i segnali emessi da un trasmettitore. Sembra infatti che due dei quattro alpinisti dispersi abbiano addosso questi particolari apparecchi, dimostratisi molto efficienti soprattutto per rintracciare persone sepolte da valanghe. Tra le ipotesi più pessimistiche finora fatte da chi segue da vicino lo svolgimento delle ricerche, non è infatti esclusa quella che i quattro possano essere stati travolti da una slavina. Le perlustrazioni compiute ieri su un ampio tratto dell’itinerario, presumibilmente percorso dagli alpinisti, non hanno però dato alcun risultato. «Non sono neppure state trovate tracce — ha precisato Fritz Barrell, la guida che coordina le operazioni — tranne l’indicazione scritta lasciata sul loro rientro al rifugio». I famigliari dei quattro alpinisti sono a Gressoney in angosciosa attesa. Le ricerche degli alpinisti sono state sospese ieri nel primo pomeriggio, a causa del maltempo; nella zona, infatti, nevica abbondantemente. Una guida alpina delle squadre di soccorso è stata investita da una piccola slavina nei pressi del Naso di Lyskamm e ha riportato leggere contusioni.
Giorgio Giannone
(La Stampa, 24 maggio 1978)
Da domenica mancano notizie dei quattro alpinisti mantovani
Un biglietto, unica traccia dei dispersi sul Rosa
AOSTA — Sono riprese stamane le ricerche dei quattro alpinisti mantovani dispersi da domenica nel gruppo del Monte Rosa durante una gita sci-alpinistica. I quattro: Ugo Scalori, 39 anni, avvocato, sposato e padre di due figlie, Sergio Donati, 54 anni, chimico, ex dirigente della Montedison* Giorgio Begnozzi, commerciante, 41 anni, vice presidente del Cai di Mantova, sposato e padre di un ragazzo di 12 anni, e Vincenzo Zanotti, 33 anni, titolare di una grande azienda agricola, erano partiti domenica dal rifugio Gnifetti, nell’Alta Valle di Gressoney, e avevano raggiunto in giornata il Rifugio Quintino Sella, nell’adiacente Valle di Ayas. E’ certo che il gruppetto aveva portato a termirre l’escursione: una loro annotazione è stata trovata lunedì pomeriggio al «Sella» dalle guide partite da Champoluc e da Oressoney non appena era stato dato l’allarme per il mancato rientro degli alpinisti. Nel biglietto i quattro spiegavano di aver deciso di rientrare per lo stesso percorso a Gressoney a causa del maltempo.
g. g
(Stampa Sera, 24 maggio 1978)
Vane ricerche sul Monte Rosa dei quattro sciatori scomparsi
DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
GRESSONEY — Il Monte Rosa continua a serbare il suo segreto. Qual è la sorte dei quattro alpinisti mantovani scomparsi da lunedì mattina? Li hanno cercati, martedì e ieri, squadre dei soccorsi alpini di Gressoney, Champoluc, Alagna; anche con gli elicotteri, due della scuola militare alpini di Aosta, uno dell’Elioalpi di Aosta, uno dei carabinieri. I voli proseguiranno oggi se le condizioni atmosferiche lo consentiranno. Interverranno anche pattuglie di finanzieri da Cervinia. Le ore possibili per le ricerche sono limitate per il pericolo di valanghe nella fascia calda della giornata; nebbia e nevischio riducono poi il campo di azione degli elicotteri. Dice Joseph Anster, guida di Gressoney, che in questi giorni ha coordinato i servizi: «C’è da essere pessimisti, tuttavia un filo di speranza rimane, la montagna ha sempre riservato sorprese, in male e in bene. Questi alpinisti, per quanto abbiamo appreso, sono uomini temprati, buoni conoscitori dei pericoli dell’alta quota, capaci di affrontare anche durissime prove». Il più maturo di età, ma per questo non meno allenato, è il dott. Sergio Donati, 54 anni, chimico, fino a pochi giorni fa dipendente del Centro ricerche di Mantova della Montedison, ora in pensione; sposato, padre di tre figlie. Giorgio Begnozzi, 41 anni, titolare di un grande magazzino di ricambi auto e gomme, vicepresidente del Cai mantovano, sposato, padre di un ragazzo di 13 anni, è certamente il più esperto alpinista dei quattro. Gli altri sono: Ugo Scalori, 39 anni, avvocato, uno dei più noti penalisti del foro mantovano, presidente del Lions di Mantova; e Vincenzo Zanotti, 33 anni, imprenditore agricolo, celibe. Arrivano a Gressoney venerdì sera con due auto, la Citroen di Scalori e la Bmw di Zanotti. Hanno un’ottima attrezzatura per affrontare le alte quote, ma non sacchi a pelo perché non prevedono notti in bivacco. Lasciano un’auto alla partenza dell’ovovia verso il rifugio Gnifetti, l’altra all’arrivo della funivia della Bettaforca, dove finisce la strada della valle. Il loro programma è quello di fare, nella giornata di domenica, un tratto del percorso del «Mezzalama», il famoso trofeo sciistico d’alta montagna, rientrando dalla Bettaforca. Sabato mattina salgono con l’ovovia, raggiungono il rifugio dopo sei o sette ore di marcia, dormono sulle brande. La domenica mattina alle 5 sono già di partenza. Il Gnifetti è a quota 3647, l’itinerario prevede una salita fino ai 4 mila metri in corrispondenza del «Naso» del Lyskamm. Nel pomeriggio, quando questo ostacolo è superato, sopraggiunge il brutto tempo. Il gruppo considera troppo pericoloso proseguire, come era in programma, per la Bettaforca e decide di ripiegare verso la capanna Sella a 3640 metri. E’ necessario affrontare la notte qui, nonostante che non ci sia una adeguata attrezzatura. L’indomani mattina nevica ancora e di neve ne è caduta già molta. Gli alpinisti decidono di non proseguire, ma di tornare indietro sul percorso già fatto, verso il rifugio Gnifetti. Lasciano nella capanna un biglietto firmato da tutti e quattro, precisando che prendono questa decisione per precauzione a causa delle cattive condizioni atmosferiche. Partono alle 5 e da allora non si sa più nulla. Il biglietto trovato poi dalle guide è l’unica loro traccia. Gli elicotteri hanno sorvolato a lungo tutta questa area; hanno volato sugli apparecchi civili anche alcuni familiari degli scomparsi, Enrico Zanotti, fratello di Vincenzo, Giuliano Begnozzi, fratello di Giorgio e il cognato, Eli Papa, anche lui alpinista. Non si sono scorte tracce, certamente cancellate dalla neve che ha continuato a cadere nella mattinata di lunedì. L’unico segno evidente, e molto allarmante, è quello di una valanga che ha spazzato la Groppa del «Naso» del Lyskamm. Questa zona è stata raggiunta dagli uomini del soccorso alpino, taluni saliti a piedi, altri calati dagli elicotteri. Una ricerca infruttuosa e difficile per la presenza di grossi seracchi che scendono, si muovono, precipitano. La guida Oreste Squinibal, colpito da uno di questi blocchi di ghiaccio, ieri si è ferito a un braccio ed è dovuto rientrare. Oggi si riprenderà a cercare in questa zona, mentre altre squadre percorreranno nuove aree, seguendo anche diverse ipotesi. Al Caffè Sport di Gressoney St-Jean, sede del Soccorso alpino, dove c’è il collegamento radio con le pattuglie che stanno passando giorni e notti in alta montagna, sono in angosciosa attesa i congiunti. Oltre quelli citati sono presenti Marcella Papa, moglie di Giorgio Begnozzi, i genitori, la moglie e un cognato dell’avv. Scalori, la madre di Vincenzo Zanotti, la moglie di Donati. Marcella Papa, la moglie di Begnozzi, dice che Giorgio non si concedeva mai un momento di riposo; libero dal lavoro passava da uno sport all’altro, il tempo solo di cambiare sacca e campo sportivo. Il fratello di lei ricorda una impresa che fecero lui e Giorgio, nel ’76, in canoa sul Danubio, da Vienna a Belgrado, 1200 chilometri in nove giorni, persino trenta ore di remo con una sola zolletta di zucchero. E una notte, a Bratislava, in Cecoslovacchia, erano stati costretti a dormire sulla canoa sotto la minaccia dei mitra delle guardie che non li lasciavano scendere a terra. «Giorgio è un atleta, esperto, prudente, che sa misurarsi — dice Marcella Papa —. Questo mi dà fiducia, penso che possa non avere commesso degli errori. Spero che siano bloccati, ma con possibilità di salvezza».
Remo Lugli
(La Stampa, 25 maggio 1978)
I soccorritori continuano le ricerche trafitte nevicate
Scarse speranze per i 4 del “Rosa
GRESSONEY — Il dramma dei quattro alpinisti mantovani dispersi da domenica sera sul Monte Rosa, sembra essersi ormai compiuto: «Le sperarne di ritrovare qualcuno in vita sono appese ad un filo sottilissimo», dicono al Soccorso alpino. Le ricerche, che nei giorni scorsi avevano proceduto febbrilmente e con notevole impiego di uomini e mezzi (squadre alpine di Gressoney, Champoluc, Alagna, elicotteri degli alpini, dei carabinieri e dell’Elioalpi) oggi dovranno subire una sosta. “Nevica in quota” dicono al Soccorso alpino — “e sarà impossibile per le squadre raggiungere la sona dove si presume sia avvenuta la tragedia”. I soccorritori hanno circoscritto la zona dove sono scomparsi i quattro alpinisti — il dottor Sergio Donati, 54 anni, chimico, Giorgio Begnozzi, 41 anni, titolare di un magazzino di ricambi, l’avv. Ugo Scalori, 39 anni, e Vincenzo Zanotti, 33 anni, agricoltore — ma è difficilissimo accedervi anche con gli elicotteri a causa di una enorme valanga che è probabilmente quella che ha provocato la tragedia. E’ un banco di neve enorme — dicono al Soccorso alpino di Gressoney — e per esplorarlo anche con le apparecchiature elettroniche di ricerca—gli alpinisti sfortunati pare avessero con sé due radioline che dovrebbero emettere una sorta di «bip-bip» – n.d.r.) occorreranno diversi giorni Oggi poi le, condizioni climatiche si presentano impossibili». I famigliari dei quattro dispersi sono da lunedi in attesa a Gressoney. Li sorregge la speranza, una speranza che va assottigliandosi man mano che trascorrono le ore ed il tempo non accenna a migliorare.
(Stampa Sera, 25 maggio 1978)
Snervante attesa dei familiari nell’albergo di Gressoney
Il maltempo impedisce agli elicotteri la ricerca dei 4 alpinisti scomparsi
Le guide che partecipano ai tentativi di salvataggio non nascondono il loro pessimismo scalatori è caduta una valanga con un fronte di oltre 200 metri e una profondità di circa 3 chilometri
DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
GRESSONEY LA TRINITE’ — Un’altra giornata perduta, il maltempo ha impedito agli elicotteri di alzarsi in quota sulla catena del Monte Rosa per esplorare la zona nella quale si presume siano scomparsi i quattro alpinisti mantovani. Del dottor Sergio Donati, dell’avvocato Ugo Scalori, di Giorgio Begnozzi e di Vincenzo Zanotti mancano notizie da lunedì mattina. Fra i loro famigliari, che sono accorsi già a partire da lunedì sera (l’escursione degli alpinisti doveva concludersi entro il pomeriggio di domenica), l’angoscia e lo scoramento sopraffanno la speranza. Le guide, che si sono prodigate nelle ricerche, anche in condizioni di tempo proibitive e che sono scese a valle alle 12,30 di ieri perché il nevischio rendeva impossibile la permanenza in alta montagna, non nascondono il loro pessimismo. Anche se il loro linguaggio è molto riservato, l’espressione dei loro volti dice eloquentemente che le probabilità di trovare in vita i quattro scomparsi sono scarse. Vito Angster, uno dei soccorritori del Club alpino di Gressoney, ci descrive le ricerche compiute nella giornata di mercoledì lungo tutto il percorso dalla capanna Sella al rifugio Gnifetti, che la cordata avrebbe dovuto compiere secondo l’appunto lasciato scritto alla capanna, per far ritorno sul percorso già conosciuto, a causa del cattivo tempo. «Abbiamo potuto constatare che la slavina sul lato occidentale del “naso” del Lyskamm, che avevamo già osservato il giorno prima dall’elicottero, potrebbe essere stata causata dal passaggio della corda. La neve s’è staccata anche a monte del percorso palinato, ma la scivolata può aver avuto origine proprio dal sentiero. La valanga ha un fronte di oltre 200 metri a una lunghezza di quasi tre chilometri». Una zona vastissima, quindi, difficilmente controllabile. A valle del sentiero ci sono 150 metri di fortissimo pendio, poi uno strapiombo profondo altri 150 metri. La massa nevosa è precipitata ancora di più, ha riempito un crepaccio profondo una quarantina di metri, poi un grande catino di raccolta e si è esaurita più a valle superando altri strapiombi. Con Vito Angster ci sono le guide Daniele e Fritz Barel e Monterin di Gressoney e De Tomasi di Alagna. Nessuno di loro è ottimista. «Se sono finiti nel crepaccio, ad esempio, chi riesce più a tirarli fuori? — si chiedono —. Anche nel catino c’è una massa nevosa enorme. L’unica speranza è che non siano stati travolti da questa valanga e siano finiti in un crepaccio prima di arrivare nella zona del “naso”. Se così fosse, potrebbero essere vivi, seppure feriti. Nei crepacci c’è gente che è riuscita a sopravvivere per molti giorni. Non appena le condizioni meteorologiche lo consentiranno, perlustreremo tutta l’area sospetta». Gli alpinisti erano molto esperti, prudenti, bene attrezzati. Tutti e quattro erano muniti di piccoli trasmettitori «Pieps», che lanciano in continuazione un segnale «bip» captabile con un apposito strumento da una ventina di metri di distanza; l’autonomia delle pile è di 700 ore, circa un mese. L’importante è di poter perlustrare la montagna, cosa che il maltempo finora ha consentito solo in minima parte. Se domani il cielo si aprirà ad un’ampia schiarita, gli elicotteri porteranno sul ghiacciaio le pattuglie munite anche di metaldetector, apparecchi capaci di segnalare la presenza di oggetti di metallo. I congiunti sono riuniti nell’hotel Dufour di Gressoney La Trinité, nel quale avevano pernottato anche i quattro alpinisti la notte di venerdì. Il dottor Sergio Donati era abbastanza di casa in questo albergo perché altre volte aveva compiuto traversate sul Monte Rosa, anche quella che con gli amici aveva in programma per domenica. Era stato qui, con una delle tre figlie, pure in occasione del trofeo Mezzalama, alla fine di aprile, non per partecipare alla gara, ma per respirarne l’elettrizzante clima sportivo. Molto amante della montagna, il dottor Donati aveva in programma per il prossimo mese un viaggio in Nepal, per compiervi scalate. Del gruppo, gli amici di più vecchia data erano l’avvocato Ugo Scalori e Vincenzo Zanotti. Il dottor Donati e Giorgio Begnozzi si conoscevano anche loro da molto tempo, il primo essendo stato presidente del Cai mantovano negli anni passati, il secondo attuale vicepresidente. Tutti e quattro si erano poi legati da comune amicizia in occasione di un corso invernale di sci alpinistico che avevano frequentato fino al 25 aprile scorso a Madonna di Campiglio. Anche dopo la fine del corso avevano continuato ad incontrarsi e insieme avevano già operato sulle montagne dolomitiche. Nella hall dell’hotel i congiunti cercano di rincuorarsi a vicenda. Ci sono la mamma e la sorella di Zanotti, che è celibe, le moglie degli altri tre e fratelli, cognati, una delle figlie e un genero di Donati. L’occhio che scruta la barriera di nubi sopra le cime, sempre con la speranza di vedere uno squarcio di azzurro nel quale possano infilarsi gli elicotteri; e l’orecchio pronto a dare ampio credito ai racconti di vicende di montagna che sembravano drammatiche e che si risolsero felicemente. Di tanto in tanto profondi sospiri punteggiano di angoscia questa lunga, snervante attesa.
Remo Lugli
(La Stampa, 26 maggio 1978)
Sul Rosa: erano rimasti sepolti sotto una enorme valanga
Ritrovati cadaveri i quattro alpinisti
Nuova bufera : soccorritori in pericolo
GRESSONEY — Tutti morti. I corpi dei quattro alpinisti mantovani — il dott. Sergio Donati, 52 anni, originario di Modena, Sergio Begnozzi, 41 anni, commerciante, Ugo Scalori, 39 anni, avvocato e Vincenzo Zanotti, 33 anni, agricoltore — sono stati recuperati dalle squadre di soccorso alle 11,15 di stamane, nella zona occidentale del Monte Rosa denominata «Naso» di Lyskamm, dóve erano stati travolti domenica mattina da una valanga. I quattro, investiti dall’enorme massa di neve, erano stati trascinati per alcuni metri poi erano finiti in un canalone profondo 150 metri, il recupero delle salme è stato fatto dalle squadre del soccorso alpino che da questa mattina avevano raggiunto la zona della sciagura con gli elicotteri messi a disposizione da carabinieri, guardia di finanza e vigili del fuoco. E’ stato il primo gruppo di soccorritori, questa mattina verso le 7,30, ad individuare il punto dove erano stati trascinati i corpi degli sciagurati alpinisti: con l’apparecchio di rilevazione infatti, è stato possibile captare il «bip-bip» dei quattro «Pieps» (apparecchi di segnalazione) che le vittime portavano durante l’escursione. Poco dopo un altro elicottero ha trasportato nella zona la squadra cinòfili diretta da Brenno Rial, che era accompagnato da tre specialisti di Cogne. I cani hanno subito localizzato i corpi. Si è preso a scavare, in una massa immensa di neve e poco dopo sono affiorati i cadaveri. Secondo quanto i soccorritori hanno potuto stabilire i quattro alpinisti sono morti sul colpo, quando la valanga li ha trascinati nel canalone. I corpi sono stati portati con gli elicotteri a Gressoney, dove sarà allestita una camera ardente. Nel momento in cui scriviamo, sono le 14, apprendiamo che alcune squadre di soccorritori che erano scesi nel canalone e che stanno rientrando su Gressoney con una faticosa marcia, si trovano in serie difficoltà, poiché dopo la schiarita di stamane, le condizioni del tempo, sul mezzogiorno, “sono volte improvvisamente al peggio. Inutili sono stati i tentativi degli elicotteri di dirigersi nuovamente nella zona per cercare di far salire a bordo questi uomini. Apprendiamo che la squadra che ha ricuperato le vittime era composta da Renzo e Arturo Squinaquel (in realtà Squinobal, ndr), Daniele e Fritz Barel (in realtà Barrel, ndr), Willy Montery (in realtà Monterin, ndr) e Davide Comisasca (in realtà Camisasca, ndr). L’affannosa operazione di soccorso che si sperava potesse consentire di trovare qualcuno ancora in vita si era iniziata stamane alle prime luci, dopo una notte di angosciosa attesa sulla quale per i soccorritori ed i familiari delle quattro vittime aveva pesato la sensazione di impotenza di fronte alla tragedia: ieri infatti, e l’altro ieri, il tempo si era mantenuto cattivo e le squadre non avevano potuto muoversi. Stanotte una schiarita aveva riaperto qualche speranza: purtroppo però sotto quella montanga di neve non c’era più nessuno ad aspettare la salvezza.
(Stampa Sera, 26 maggio 1978)
Dopo quattro giorni di ricerche la tragica scoperta
Trovati morti sotto la valanga i 4 sciatori scomparsi sul Rosa
Le vittime, tutte di Mantova, dissepolte dai cani a 3600 metri di quota – La massa nevosa li ha investiti trascinandoli per 300 metri – Scene di disperazione dei familiari accorsi
DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
GRESSONEY – LA TRINITE’ — La montagna ha svelato il suo mistero, nella maniera più cruda, drammatica, lacerante. I quattro alpinisti mantovani dispersi da domenica sono stati trovati, morti, sepolti sotto la valanga, come ormai ognuno temeva. E’ bastato un breve squarcio d’azzurro nel cielo perché un elicottero potesse alzarsi a portare in quota le guide del Soccorso alpino, e subito, a valle, negli animi dei congiunti che erano da giorni in angosciosa attesa, con la notizia arrivata via radio, è scesa la disperazione più buia. Un filo, seppur tenue, di speranza aveva sorretto fin qui queste persone, d’improvviso il filo s’è spezzato, e le cime imponenti che erano state una affascinante attrazione per gli alpinisti sono diventate, agli occhi dei loro cari, cupe e traditrici, elemento di morte da cui fuggire il più presto possibile. Già in serata le quattro salme, del dottor Sergio Donati, dell’avvocato Ugo Scalori, di Giorgio Begnozzi e di Vincenzo Zanotti, sono potute partire alla volta di Mantova. L’alba nasce col cielo aperto. Alle 7 arriva da Aosta sul campo sportivo di Gressoney St. Jean un elicottero della Scuola militare alpina di Aosta. Ci sono già pronte sette guide di Gressoney e tre di Cogne, con tre cani da valanga. L’elicottero li porta su tutti, con tre viaggi. Li deposita a 3600 metri di quota, alla base della valanga che è scesa a occidente del «Naso» del Lyskamm e che ha spazzato anche il percorso che gli alpinisti dovevano seguire per tornare al rifugio Gnifetti dalla Capanna Sella. Giovedì sera le guide si erano riunite, avevano proiettato delle diapositive della zona, scattate due giorni prima, nel corso di una rapida ricognizione aerea. Erano convinti che i quattro sciatori fossero stati travolti da quella massa nevosa e che i loro corpi si trovassero lungo quel sentiero di morte. Racconta Brenno Rial, guida di Gressoney: «Già i miei compagni, i fratelli Lorenzo e Federico Squiobani (in realtà Arturo e Oreste Squinobal, ndr), Federico e Danilo Barel (in realtà Barrel, ndr), padre e figlio, Vito Angster e Willy Monterin, che erano saliti con i primi due voli, avevano captato con i loro strumenti i “bip-bip” dei piccoli trasmettitori “Pieps” che le vittime portavano addosso. Si sapeva, perciò, che entro un certo raggio c’erano i corpi, anche se non si vedeva nessuna traccia tra la neve sconvolta e i seracchi di ghiaccio. Con l’ultimo volo siamo saliti, con i nostri cani, io e le tre guide di Cogne: Alfredo Abram, Franco Chiaberge, Walter Gerard. I cani sono stati ammirevoli, stupendi. In brevissimo tempo hanno localizzato i punti in cui si trovavano i corpi. Abbiamo incominciato a spalare e, tra le 9,30 e le 11,30, li abbiamo disseppelliti tutti». Erano circa trecento metri più in basso del percorso palinato che lunedì mattina, poco prima della tragedia, stavano seguendo: due più in alto, a quindici metri di distanza l’uno dall’altro, gli altri due quaranta metri più in basso, slegati. Evidentemente, in quel loro viaggio di ritorno, forzatamente sui loro passi a causa del maltempo, che li aveva già tenuti bloccati una notte alla Capanna Sella, fuori dal loro programma, gli sciatori avevano ritenuto più conveniente camminare staccati, forse pensando che una eventuale slavina, in questo modo, avrebbe potuto colpire uno o qualcuno di loro, non trascinare tutti nel precipizio come in caso di cordata. Ma la slavina aveva un fronte vasto, di oltre 200 metri e li aveva spazzati via tutti. Erano rotolati per un ripidissimo pendio, poi erano precipitati nel vuoto con un salto di almeno cento metri, avevano proseguito superando un crepaccio già colmato dalla massa nevosa in movimento e si erano fermati in una conca, a una profondità non rilevante: Zanotti a due metri. Donati e Scalori a 50 centimetri; Begnozzi a un metro e mezzo. Mentre in quota avviene il recupero, salgono con l’elicottero, per dare una mano, anche quattro finanzieri del soccorso alpino di Cervinia e un carabiniere di Courmayeur. Giù, i congiunti sono tutti radunati nel bar Sport di St-Jean, sede del Soccorso Alpino, dove c’è il collegamento radio. La notizia arriva a Joseph Angster, la guida che in questi giorni ha curato il coordinamento delle ricerche, in dialetto patois tedesco perché i familiari presenti non sappiano subito che cosa sta accadendo. A poco a poco la verità si fa strada: qualcuno informa che ci sono novanta probabilità su cento che siano morti. Poco dopo i congiunti vedono atterrare l’elicottero e scendere i cani da valanga. Capiscono che se non servono più lassù, hanno già compiuto il loro lavoro, i morti sono stati trovati. Scene di pianto, di disperazione. Ci sono i fratelli di Zanotti (la madre era rientrata il giorno prima a Mantova), la moglie e il fratello di Begnozzi, la moglie, la figlia, il genero di Donati, la moglie, il fratello, il cognato di Scalori. Si abbracciano tra loro, in un’amicizia che prima era tenuta viva dal comune amore dei loro congiunti per la montagna ed ora è rinsaldata improvvisamente da uguale dolore. L’abbandono allo strazio è abbastanza breve, ognuno sa reagire, ritrovare compostezza: la lenta, lunghissima attesa ha necessariamente preparato gli animi all’eventualità più disastrosa. Si devono affrontare le burocratiche incombenze del caso, come il nulla-osta della procura per far partire le salme alla volta di Mantova. I corpi, scesi con l’elicottero, vengono portati nella sacrestia della chiesa di St-Jean, dove il dott. Bruno Marchionni, medico condotto del luogo, aiutato dal parroco, don Riccardo Quey e dal brigadiere dei carabinieri, Leandro Messazza Gal, inizia la ricomposizione. Il medico constata che la morte è stata per tutti e tre rapidissima, in genere per sfondamento della cassa toracica; sono presenti in varia misura fratture e contusioni. Mentre si procede alla preparazione e vestizione delle salme (i quattro alpinisti avevano lasciato i loro abiti civili all’albergo Dofour dal quale erano partiti per l’escursione e dove sarebbero dovuti tornare ridiscendendo dalla montagna) la borgata di St-Jean si anima di dolorosa e commossa partecipazione: arrivano alla chiesa donne con mazzolini di fiori campestri, un altro porta le lenzuola che serviranno, una suora distribuisce le corone per il rosario. Alle 16,30 la chiesa si può aprire, entrano per primi i familiari, sollevano le lenzuola dal volto dei loro cari per l’ultimo bacio. Più tardi giungono da Mantova i feretri; può incominciare l’ultimo viaggio. Ormai è buio, il cielo è di nuovo imbronciato, pioviggina: un cupo saluto della montagna alle sue vittime.
Remo Lugli
(La Stampa, 27 maggio 1978)
L’inaugurazione del rifugio nel 1984
Tre articoli, dal 2 (giorno dell’inaugurazione ufficiale) al 4 settembre 1984
L’inaugurazione del rifugio Mantova (3457 metri)
Una festa sul Monte Rosa
GRESSONEY — Oggi sarà ufficialmente inaugurato il Rifugio Città di Mantova sul ghiacciaio del Garstelet nel gruppo del Monte Rosa, a 3457 metri di altitudine. Per l’occasione le guide alpine di Gressoney, proprietarie dell’edificio, hanno organizzato una serie di manifestazioni sul largo piazzale che sorge in prossimità del rifugio. Saranno presenti le famiglie dei quattro alpinisti mantovani morti nel maggio del 1978 durante un’escursione alpinistica sul Rosa e a cui è stata dedicata la nuova capanna. Fu proprio per ricompensare l’opera di ricerca delle guide gressonare, impegnate per oltre una settimana nel recupero del corpi degli sfortunati alpinisti, che i parenti delle quattro giovani vittime (Giorgio Pagnozzi, Sergio Donati, Vincenzo Zanotti, Ugo Scalari) in segno di riconoscenza, misero a disposizione dei soccorritori 20 milioni, per cominciare 1 lavori di costruzione del rifugio. Per il completamento dell’opera, costata 400 milioni, hanno contribuito anche la Regione valdostana, il Club alpino italiano e i Comuni di Gressoney-St-Jean, La Trinité e di Mantova. Il «Rifugio Mantova», che è gestito da due giovani di Pont-St-Martin appassionati di montagna, Sandro Juglalr e Roberto Ganis, è già stato aperto al pubblico all’inizio del mese di luglio e offre circa 80 posti letto più i servizi di ristorante. Oggi alle ore 8 sul piazzale dello Stafal sarà disponibile un elicottero per salire al rifugio, mentre per chi volesse salire a piedi l’appuntamento è alle 6,30 al Gabiet. Le guide di Gressoney avranno tra i loro ospiti, oltre agli amministratori regionali e comunali, anche il ministro dell’Agricoltura Pandolfi e probabilmente i ministri La Malfa e Reviglio. Celebrerà la messa il vescovo di Aosta Ovidio Lari mentre ad allietare 11 pomeriggio ci sarà la banda musicale di Pont-St-Martln.
w. b.
(La Stampa, 2 settembre 1984)
Intitolato alla Città di Mantova
APERTO SUL ROSA UN NUOVO RIFUGIO
ALAGNA VALSESIA — (r. q.) Da ieri II Monte Rosa ha un nuovo rifugioi: il Città di Mantova. E’ stato inaugurato alla presenza di una numerosa folla di alpinisti, fra cui i presidenti del Cai Priotto e delle guide Germagnolt. Presenti pure gli onorevoli Rognoni e La Malfa, che non sono alla prima esperienza sul Rosa in quanto già intervennero all’inaugurazione della Capanna Margherita, la più alta d’Europa. Il vescovo di Aosta, monsignor Lari, ha impartito la benedizione al rifugio costruito in memoria di quattro alpinisti mantovani travolti da una valanga sul Naso del Lyskamm nel maggio di sei anni fa. Il Città di Mantova sorge a 3498 metri di altitudine fra le roccette che delimitano il ghiaccialo del Garstelet, a poca distanza dalla Capanna Gnifetti. E’ stato costrutto in sei anni di lavoro con i contributi economici della Regione Valle d’Aosta, della sezione di Mantova del Cai, del propri associati e delle famiglie dei quattro alpinisti periti. Le guide alpine di Gressoney hanno contribuito con le imprese specializzate alla costruzione di questa nuova struttura che dispone di una sessantina di posti letto, di una sala ristorante e di una balconata panoramica che si proietta verso il ghiacciato. Il punto sul quale è stato “ancorato” questo rifugio (è fra l’altro collaudato a sopportare un impeto del vento superiore ai 200 km orari) costituisce un passaggio obbligato per quanti affrontano iI versante Sud del Monte Rosa. Di fatti appena più a valle si inseriscono su un’unica pista sul ghiaccialo del Garstelet gli itinerari valdostano di Gressoney-lago Gabiet e valsesiano di Alagna-punta Indren. Con ti nuovo rifugio salgono fra i 330 e i 340 i posti letto destinati agli alpinisti sul Rosa: la disponibilità alla Capanna Gnifettl supera i 200 posti e alla Margherita è di una settantina.
(La Stampa, 3 settembre 1984)
Inaugurato domenica il «Città di Mantova»
Rifugio sul ghiacciaio
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GRESSONEY — Un momento dell’Inaugurazione del rifugio alpino Città di Mantova sul ghiacciaio del Garstelet (3457 metri) nel gruppo del Monte Rosa. Nella foto il vescovo di Aosta, Ovidio Lari, che ha celebrato la messa, e il presidente delle guide di Gressoney Fritz Barrell. Il rifugio Città di Mantova, aperto già a luglio, è costato 400 milioni e può ospitare 80 alpinisti. E’ gestito da due giovani di Pont St. Martin: Sandro Juglair e Roberto Oanis. I genitori del quattro alpinisti morti sul Rosa nel maggio del 1978 hanno dato 20 milioni per cominciare l’opera in segno di gratitudine alle squadre di soccorso per l’aiuto dato in quella triste circostanza.
(La Stampa, 4 settembre 1984)