Consigli per escursionisti

CONSIGLI PER ESCURSIONISTI

Il mio consiglio è “il prima possibile”. Questo è valido soprattutto per le escursioni che si svolgono sul versante est della valle: in estate il sole vi batte fin dal primo mattino, ed è meglio essere il più in alto possibile quando comincia a picchiare sul serio.

Alta Luce, troppo tardi...

Alta Luce, troppo tardi…

Ma è un suggerimento valido per qualunque sentiero: molto spesso le giornate estive a Gressoney sono caratterizzate da cielo sereno fino a metà giornata, quando poi cominciano a comparire le prime nubi che potrebbero addirittura produrre pioggerella nel corso del pomeriggio. Questo è ancor più valido per le escursioni che si svolgono molto vicino al Monte Rosa, che si rannuvola più velocemente del resto della valle.

Per questo motivo è bene sfruttare il più possibile la finestra di bel tempo mattutina, in modo da arrivare a destinazione nelle migliori condizioni di visibilità possibili: non c’è niente di peggio dell’aver faticato ore per arrivare in cima all’Alta Luce, e affacciarsi sul Rosa per non veder nient’altro che nubi!

Partenza all'alba!

Partenza all’alba!

C’è un ultimo motivo: la gente normalmente è pigra :-) e se si apprezza l’arrivo in vetta in solitudine, è molto meglio cominciare quando gli altri sono ancora a letto!

Per le escursioni più lunghe, questo vuol dire partire praticamente all’alba: una volta riusciti a superare il disagio iniziale, ci si renderà ben presto conto che i vantaggi sono innegabilmente superiori agli svantaggi.

Ecco le rocce sotto le quali mi sono protetto

Ecco le rocce sotto le quali mi sono protetto

Mi è capitato varie volte che cominciasse a piovere durante le mie camminate, ma non mi era mai successo di trovarmi sotto i tuoni di un temporale.

Mi è capitato pochi giorni fa: le previsioni dicevano che ci sarebbe stata probabilità di pioggia nel tardo pomeriggio, invece il temporale è cominciato verso le 11:30 del mattino mentre ero sulla vetta del Rothore (al di sopra del Passo Zube, raggiungibile tramite il sentiero 4 da Stafal), e indagando a posteriori ho scoperto di essermi protetto nel modo sbagliato.

Le prime gocce hanno cominciato a cadere mentre disarrampicavo le roccette della vetta, e quindi mi sono riparato in una grotta proprio tra quelle roccette. Ho aspettato seduto comodamente lì sotto che smettesse (ha anche grandinato, e poco distante, al Passo Zube, ne è caduta talmente tanta che da lontano sembrava neve), e poi mi sono rimesso in cammino, dicendomi fortunato per l’ottimo riparo che avevo trovato.

In questa pagina della Protezione Civile della Valle D’Aosta si legge che quanto ho fatto è assolutamente sconsigliato. Riporto per comodità alla fine del testo tutte le regole relative al comportamento da tenersi in montagna in caso di temporale.

Qui sotto evidenzio due regole in particolare, e gli errori che ho commesso.

  • Regola 6: allontanarsi rapidamente dalle cime e dalle creste; fare attenzione alle corde e ai cavi delle vie ferrate, specie se bagnati; non rimanere sotto rocce o alberi isolati; nei boschi stare lontani dai tronchi degli alberi più alti e dai rami bassi;

Io sono invece rimasto sotto le rocce isolate della cima, quindi nel posto meno indicato in assoluto.

  • Regola 12: un fulmine può essere pericoloso non solo se ci colpisce direttamente, ma anche a causa della cosiddetta “corrente di passo”: la corrente del fulmine rimane sulla superficie del terreno e diminuisce di intensità allontanandosi dal punto di caduta, di conseguenza è importante toccare il terreno in un solo punto, ad esempio saltellando o stando accucciati coi piedi uniti (la differenza di potenziale tra il suolo sotto un piede e l’altro può essere pericolosa); evitare di sdraiarsi o di appoggiarsi alla roccia;

Io ero seduto ed appoggiato con tutta la schiena sulla roccia. Con i piedi ben larghi.

Quel che avrei dovuto fare è cercare di scendere fin da subito il più possibile, e poi accucciarmi da qualche parte all’aperto, mantenendo i piedi uniti: bagnandomi come un pulcino, ma rimanendo lontano da massi isolati.

  • Regola 1: informarsi sempre presso gli uffici guide in merito alle condizioni degli itinerari ed alle previsioni meteo, se non lo si è già fatto da casa;
  • Regola 2: se si notano delle nubi a sviluppo verticale già al mattino, allora è probabile che nel corso della giornata si sviluppino dei temporali; più elevate sono la foschia e la sensazione di afa nelle valli, più tale probabilità aumenta ulteriormente;
  • Regola 3: per prevedere lo spostamento di temporali già in atto, osservare verso quale direzione punta la parte più alta del cumulonembo (incudine);
  • Regola 4: di notte il bagliore dei fulmini si può scorgere a decine di chilometri di distanza, mentre se si sente il tuono il temporale si trova a pochi chilometri da noi: un ritardo di circa 10 secondi fra il lampo e il tuono significa che siamo distanti circa 3 chilometri dal temporale;
  • Regola 5: ricordarsi che la vita media di un temporale è di circa 1 h, e che la fase più intensa difficilmente supera la mezz’ora: di conseguenza, cercare un riparo alle prime avvisaglie di temporale (per esempio all’interno delle grotte, non all’imbocco) ed attendere che i fenomeni si attenuino;
  • Regola 6: in ogni caso, allontanarsi rapidamente dalle cime e dalle creste; fare attenzione alle corde e ai cavi delle vie ferrate, specie se bagnati; non rimanere sotto rocce o alberi isolati; nei boschi stare lontani dai tronchi degli alberi più alti e dai rami bassi;
  • Regola 7: evitare i canaloni, i colatoi ed i camini rocciosi: seguendo l’umidità e le correnti d’aria, il fulmine si insinua in questi varchi;
  • Regola 8: non dare la mano ai compagni di escursione e stare distanziati una decina di metri;
  • Regola 9: non stare nelle vicinanze dei torrenti: si ingrossano rapidamente e possono diventare pericolosi, soprattutto per chi fa “torrentismo” o pesca;
  • Regola 10: non accendere fuochi: il calore svolge una forte funzione catalizzatrice;
  • Regola 11: isolarsi al massimo dal terreno con qualsiasi materiale isolante a disposizione: zaino, sacco a pelo, corda (se asciutti); liberarsi da qualsiasi oggetto metallico (piccozze, ramponi, sci, moschettoni, chiodi) ponendolo ad una certa distanza;
  • Regola 12: un fulmine può essere pericoloso non solo se ci colpisce direttamente, ma anche a causa della cosiddetta “corrente di passo”: la corrente del fulmine rimane sulla superficie del terreno e diminuisce di intensità allontanandosi dal punto di caduta, di conseguenza è importante toccare il terreno in un solo punto, ad esempio saltellando o stando accucciati coi piedi uniti (la differenza di potenziale tra il suolo sotto un piede e l’altro può essere pericolosa); evitare di sdraiarsi o di appoggiarsi alla roccia;
  • Regola 13: la corrente sviluppata anche da un fulmine molto piccolo può essere sufficiente a provocare arresto respiratorio o cardiaco, bruciature della pelle e contrazioni involontarie dei muscoli che possono indurre dei bruschi movimenti incontrollati o addirittura provocare delle fratture alle ossa. I fulmini di potenza elevata generalmente provocano la morte. Le persone colpite da fulmine non sono cariche elettricamente e dunque non si rischia nulla a prestare loro soccorso. L’80% delle persone vittime di fulminazione sopravvive: respirazione bocca a bocca e massaggio cardiaco possono salvare la vita!

La questione è semplice: è importante avere almeno una mappa su carta, che torna utilissima in fase di progettazione dell’escursione. E’ ottima e assolutamente sufficiente la mappa in vendita alla Pro Loco di Gressoney, in scala 1:25.000, altrimenti la seconda famosa mappa di queste zone è quella de L’Escursionista editore, “08 – Monte Rosa, Ayas, Gressoney, Alagna carta dei sentieri“, sempre nella stessa scala.

Ma durante l’escursione, a mio avviso, è fondamentale avere con sé una buona mappa elettronica su cellulare. Non tanto per la marcia normale, quanto per i momenti in cui si è in difficoltà: perdere il sentiero è assolutamente possibile, e capita anzi ben di frequente: quando lo si perde, ritrovarlo potrebbe non essere così banale.

Si potrebbe pensare “basta salire in verticale fino ad incrociarlo di nuovo”, ma non sempre si può fare: quando ci si sta spostando lateralmente lungo un versante, se si procede a tentoni si rischia di salire troppo o di scendere troppo, finendo in zone del pendio senza uscita (e magari pericolose) dalle quali presto si dovrà tornare indietro, perdendo tempo, energie e… motivazione. Con una mappa su cellulare è immediato vedere dove ci si trova rispetto a dove dovrebbe essere il sentiero, e quindi si capisce subito in quale direzione dobbiamo spostarci per ritrovare il sentiero.

Il mio consiglio è di verificare la posizione sulla mappa elettronica non appena si hanno dei dubbi sul sentiero che si sta percorrendo. Capita infatti di infilarsi senza accorgersi in diramazioni del sentiero principale all’inizio poco distinguibili, ma che dopo pochi passi appaiono meno nette, con maggiore vegetazione, con pendenze sospette… in quel caso, al posto di tener duro e proseguire perché “magari più avanti migliora”, è molto meglio tirar fuori il cellulare e fare un controllo di sicurezza. In casi come questi, una mappa cartacea sarebbe di ben poco aiuto, a meno di non averne una estremamente dettagliata ed essere in grado di “leggere il terreno” alla perfezione.

Quale app usare?

Di app cartografiche ce ne sono davvero tantissime, gratuite e a pagamento. L’importante è usarne una che consenta di scaricare le mappe offline, perché ovviametne si cammina quasi sempre in zone senza copertura cellulare, per cui è fondamentale che la mappa sia già a bordo del nostro cellulare.

Io normalmente uso due app gratuite: Phonemaps (come applicazione principale) e Maps.me (come applicazione di scorta). Entrambe sono disponibili sia per IOS che per Android, e ovviamente permettono di scaricare le mappe offline.

Phonemaps (sx) e Maps.me (dx)

Phonemaps (sx) e Maps.me (dx)

Phonemaps ha svariati vantaggi, rispetto alle altre app gratuite. E’ più dettagliata nella rappresentazione grafica del terreno: come si può vedere nell’immagine qui sopra, che mostra un tratto del sentiero 1 per il Colle Frudière, Phonemaps mostra due pietraie che in Maps.me non sono visibili. E’ possibile cercare per nome dei punti (ad esempio, il “passo dell’Alpetto” o il “Colle Valdobbiola“) che in altre app non sono presenti. Eidenzia in rosso i sentieri principali, oltre a mostrarne il numero. 

Ha infine una funzionalità notevole: una volta registrati al sito, si potranno comodamente importare (e, volendo, modificare) i file .GPX contenenti gli itinerari che si vogliono seguire. Si possono anche costruire itinerari da zero, progettandoli sulla mappa online. Tali itinerari verranno poi sincronizzati automaticamente con l’app sul cellulare, in modo che si possa poi attivare e seguire “sul campo” l’itinerario desiderato.

Esempio di caricamento GPX in Phonemaps

Esempio di caricamento GPX in Phonemaps

Nota bene: le mappe delle app contengono normalmente il tracciato dei sentieri principali, per cui non è necessario caricare ogni volta la traccia GPX del sentiero che si vuole percorrere. Lo si fa quando si vuole esser sicuri di avere a disposizione una traccia aggiornata, che tenga in considerazione eventuali modifiche al percorso dovute a frane o eventi simili.

Phonemaps in teoria è più che sufficiente, ma preferisco avere a disposizione anche una seconda app, nel caso in cui la prima avesse dei problemi.

Oltre a queste due app, io ho scaricato Avenza Maps, tramite la quale ho potuto comprare la mappa “Monte Rosa Est – Valle di Gressoney – Alagna Valsesia 1:25.000” (7,99€ nel giugno 2022). E’ la versione elettronica della mappa cartacea edita da L’Escursionista editore (10€ nel giugno 2022). Il livello di dettaglio che offre questa mappa elettronica è decisamente superiore a quello delle app gratuite, sempre basate su mappe opensource. Qui sotto un esempio lampante, relativo alla zona del Passo dell’Alpetto. Nonostante questa differenza nel dettaglio mostrato, preferisco quasi sempre usare Phonemaps un po’ per abitudine, ma anche perché mi fornisce in fretta una rappresentazione visiva del punto corrente confrontato con la posizione del sentiero (che è la cosa che più mi interessa quando consulto il cellulare.), senza troppe informazioni aggiuntive.

Avenza Maps (sx) e Phonemaps (dx)

Avenza Maps (sx) e Phonemaps (dx)

Chiuso il capitolo app cartografiche, ci sono due altre app che trovo oramai irrinunciabili.

Una è PeakVisor. Anche questa disponibile in versione gratuita, sia per IOS che per Android, questa app ci restituirà il nome e altitudine di tutte le cime che ci circondano, vicine e lontane. Quando si arriva in un punto elevato, è bello guardarsi in giro e cercare di individuare zone che si devono ancora visitare, per prepararsi a quel che si incontrerà: per fare questo è però fondamentale capire cosa si sta guardando. E il modo più veloce per farlo, in alternativa al laborioso tentativo di associare ciò che si vede alla mappa 2D, è quello di utilizzare questa app. Basta inquadrare una montagna, e PeakVisor ne mostrerà il nome. Semplice e utilissimo. Anche PeakVisor può lavorare offline: è sufficiente aprirlo una volta nella zona in cui lo si desidera usare (quando ancora c’è copertura di rete) e l’app scaricherà sul cellulare le informazioni che le servono per identificare tutte le montagne circostanti.

PeakVisor

PeakVisor

La seconda è PictureThis. Una volta riconosciute le cime con PeakVisor, con questa app saremo anche in grado di dare un nome a piante e fiori, e quel che ci circonda non avrà più alcun segreto. Per me, che distinguo a malapena un fiore rosso da una foglia gialla, ha del miracoloso vedere che questa app riesce a dare un nome ad un albero semplicemente fotografandone una foglia. Anche questa gratuita, la versione a pagamento offre servizi aggiuntivi che non ho nemmeno esplorato, ottenere il nome del vegetale fotografato è più che sufficiente.

PictureThis

PictureThis

Importante: una volta scelte le nostre app, è fondamentale “scaricare le mappe offline” in anticipo, onde evitare che il cellulare cerchi di scaricarle nel momento in cui apriamo l’app a metà sentiero per la prima volta (quasi certamente in assenza di campo dati).

Meglio inoltre procurarsi anche un powerbank, o ancor meglio una custodia alimentata, che consenta di avere carica a sufficienza per tutta la giornata considerando l’uso intensivo che si potrebbe fare del cellulare. E’ consigliabile disattivare il wifi (e magari anche la connessione dati) non appena si parte, per riservare la carica del cellulare alle due uniche funzioni fondamentali: ricevere il segnale GPS, e mostare sullo schermo la mappa e la nostra posizione.

Premessa: quanto segue è la descrizione della mia esperienza personale, senza nessuna pretesa di voler suggerire a nessuno come ci si debba comportare.
Preciso che ho scelto di portarmi quanto serve per far fronte a condizioni meteo “possibili e probabili, ed è una decisione assolutamente personale e non consigliabile: chi è previdente si prepara sempre anche per condizioni meteo “possibili ma improbabili” (ad esempio: nevicata fuori stagione).

Rete sul fondo dello zaino

Rete sul fondo dello zaino

Una parola, prima di passare al contenuto, sullo zaino stesso. Ho promesso a me stesso che non userò mai più in vita mia uno zaino senza il dorso in rete, separato dal resto dello zaino. E non parlo degli zaini con il dorso “aerato”, che non è altro che un’imbottitura “con i buchini” che non la rende aerata manco per niente: parlo proprio di zaini il cui dorso è formato da un leggero telaio in plastica sul quale è tesa una rete che permette di tenere la schiena separata dal carico. Questo permette di dimenticare per sempre l’orrenda sensazione del togliere lo zaino e sentirsi la maglietta completamente appiccicata alla schiena per il sudore. Provato una volta, non se ne potrà mai più fare a meno.

Per quanto riguarda l’abbigliamento, in genere da giugno a metà settembre indosso sempre maglietta a maniche corte e pantaloni corti. Può capitare nelle partenze di primissimo mattino che indossi una maglia a maniche lunghe appena partito, ma il movimento in genere mi scalda tantissimo, per cui la maglia finisce nello zaino alla prima svolta.
Indosso pantaloni lunghi se prevedo di arrivare sul ghiacciaio (ovviamente), oppure se la meta è oltre i 3000 metri dove è possibile che, anche in giornate soleggiatissime, si trovi vento gelido.

Porto poi sempre con me, a prescindere dalla stagione, cinque capi aggiuntivi di abbigliamento:

  1. la citata maglia a manica lunga (in pile o in altro materiale tecnico, a seconda della temperatura che prevedo di incontrare)
  2. una giacca leggera impermeabile e a prova di vento
  3. un paio di guanti leggeri di pile (si sottovaluta spesso l’importanza dei guanti, ma quando fa freddo le mani sono le prime cose che cominciano a soffrire)
  4. un cappello con visiera (utile sia in caso di sole che, ancor di più visto che porto gli occhiali, in caso di pioggia)
  5. un berretto di lana (leggerissimo, ci si dimentica di averlo ma quando serve fa piacere averlo).

Nella tasca superiore dello zaino sono altresì sempre presenti alcuni piccoli oggetti (alcuni potrebbero essere utili in caso di emergenza):

  • Un minuscolo flacone di crema solare protettiva
  • Burro cacao
  • Un fischietto (in emergenza, il modo migliore per segnalare la propria presenza da lontano)
  • Una coperta termica (quelle con uno strato argentato e l’altro dorato, utili sia per proteggersi dal freddo che dal caldo a seconda del lato utilizzato)
  • Un piccolo set di cerotti
  • Una confezione di pasticche di sali minerali

Oltre ovviamente ad acqua e viveri, ci sono poi altri elementi che metto nello zaino a seconda di cosa potrebbe riservare la giornata.

  • Attraversamento di un ghiacciaio (ad es. Capanna Gnifetti): ramponi da ghiaccio, piccozza, casco, guanti invernali.
  • Attraversamento di un nevaio (ad es. Passo di Rissuolo, Passo di Valfredda): ghette (nel mezzo della stagione estiva, quando la neve è cedevole), o ramponi (ai margini della stagione estiva, quando la neve può essere molto dura). Non vanno sottovalutate le ghette: ho attraversato lunghi nevai cedevoli pur avendo con i pantaloni corti, e le ghette mi hanno consentito di farlo senza inzuppare le calze e tenendo i piedi perfettamente all’asciutto.
  • Progressione agevolata da cavi di acciaio (ad es. Testa Grigia, Rifugio Quintino Sella): guanti di pelle da ferrata (i cavi d’acciaio, se non in perfette condizioni, possono tagliare come rasoi).
  • Progressione lungo scalette di ferro o percorsi attrezzati particolarmente esposti (ad es. Monte i Gemelli, Capanna Gnifetti): imbrago, set da ferrata, casco leggero.
  • Progressione su terreno prevalentemente roccioso dove potrebbe cadere qualche pietra dall’alto (ad es. Rifugio Mantova, Rifugio Quintino Sella, Testa Grigia): casco leggero. 

Insieme ad un paio di bastoncini da escursionismo, al comunicatore satellitare citato qui, all’orologio (un Garmin Fenix 5X) ed al materiale fotografico assortito, questo è tutto quanto porto con me per le escursioni.

Cammino spessissimo da solo, e il cellulare molto spesso smette di avere segnale dopo meno di un’ora dalla partenza. Questo è un problema soprattutto per chi rimane a casa, costretto a sopportare un lungo silenzio senza alcuna possibilità di verificare che tutto stia andando bene: chi è in movimento, infatti, razionalmente o meno ha deciso di rischiare, decidendo evidentemente che il gioco valesse la candela. Ma chi rimane a casa, soprattutto se apprensivo, è destinato a lunghe giornate di ansia, ed è per questo motivo che, se si decide di andare lo stesso, bisogna esser consapevoli che in questa scelta c’è una buona dose di egoismo…

Eppure c’è una soluzione, discretamente economica, a questo problema: non è molto conosciuta, ed è il motivo per il quale scrivo queste note (ringrazio per l’ennesima volta Bruno Borello per la dritta): esistono dei piccoli comunicatori satellitari che si collegano alle varie reti di comunicazione satellitare (a copertura mondiale) e consentono di tenere automaticamente aggiornata la propria posizione su una pagina web, di scambiare SMS o brevi email con un set di contatti predefinito e di chiamare i soccorsi, nel malaugurato caso in cui questo fosse necessario, inviando automaticamente la propria posizione GPS. Se poi non riuscissimo nemmeno a chiamare autonomamente soccorso, i nostri contatti a casa (vedendoci ad esempio fermi nello stesso punto per ore intere, senza alcuna risposta) possono decidere di richiedere autonomamente all’apparecchio l’ultima posizione GPS, e fornire l’informazione ai soccorritori. Come si vede, sono delle funzionalità fenomenali, che consentirebbero di evitare moltissime delle tragedie spesso riportate dai giornali.

Al costo dell’apparecchio va aggiunto l’abbonamento al servizio satellitare, senza il quale l’apparecchio è praticamente inutile: si possono scegliere diversi livelli, che si differenziano principalmente per il numero massimo mensile di messaggi personalizzati inviabili, o di condivisione su web della posizione.

Garmin InReach Mini

Garmin InReach Mini

Esistono diversi prodotti: i più diffusi in Italia sono quelli di Garmin e di Spot: basta cercare su Google “satellite messengers” per trovarli tutti.

Io uso un Garmin Inreach Mini. Al momento (giugno 2022) si trova online a poco meno di  300€ (è uscita da poco la versione 2, che costa 100€ in più). Piccolo, leggerissimo ma molto resistente, ha una batteria che dura giorni interi.

Piani di abbonamento Garmin (giugno 2022)

Piani di abbonamento Garmin (giugno 2022)

I piani di abbonamento di tipo Consumer variano da 15€ a 60€ per la tipologia “Annuale” (ovvero con una quota fissa mensile), e da 20€ a 75€ per la tipologia “Freedom”: si paga solamente i mesi in cui si è previsto che lo si utilizzerà (ad esempio, solamente i mesi estivi), ma c’è un costo ulteriore, fisso, di 40€ all’anno. Ciò che varia da un livello all’altro è principalmente il numero mensile di messaggi “personalizzati” che si vuole poter inviare e quanto spesso si vuole condividere la posizione sul sito web: se si sceglie il livello minimo, ad esempio, ogni condivisione della posizione costa 0,10€ (motivo per il quale ho scelto il livello successivo, che consente la condivisione illimitata della posizione).

La condivisione della posizione via web

La condivisione della posizione via web

Ne sono molto soddisfatto: posso inviare messaggi predefiniti tranquillizzanti (del tipo “Sono arrivato in cima, tutto bene”, oppure “Sto ancora salendo, tutto ok”) senza alcuna limitazione, la mia posizione è costantemente aggiornata ogni dieci minuti in un sito web cui posso fare accedere chiunque io voglia (come si vede nell’immagine accanto), e ovviamente in caso di problemi posso inviare un SOS al centro di coordinamento dei soccorsi internazionale di Garmin e comunicare (sempre via messaggi di testo) con i soccorritori.

Devo dire che è una grandissima sicurezza aggiuntiva di cui dovrebbe senz’altro dotarsi chiunque cammini con una certa costanza in montagna in luoghi dove il cellulare non prende.

Per anni ho trasportato la macchina fotografica penzolante a tracolla, trasferendola temporaneamente all’interno dello zaino nei momenti delicati. Un vero supplizio: bisogna sempre fare attenzione a dove la si posiziona per evitare che urti le rocce oscillando, nelle giornate calde la cinghia dà estremamente fastidio, e alla lunga il continuo rimbalzo contro il corpo diventa davvero irritante. Senza contare la fatica: la mia reflex full frame, con obiettivo 28-70 2.8 montato, pesava 2Kg… nelle soste, la prima cosa che facevo era togliermi dal collo la macchina fotografica!

Il passaggio ad una mirrorless nel 2020 è stato il primo gigantesco passo avanti, che consiglio a chiunque sia ancora titubante e che ha risolto alla radice almeno il notevole problema del peso (la mia mirrorless con obiettivo montato pesa esattamente un terzo rispetto alla reflex) ma finché ho continuato a portarla a tracolla gli altri svantaggi erano ancora ben presenti. Le cose sono cambiate davvero non appena ho sperimentato un supporto da spallaccio.

La macchina appesa allo spallaccio

La macchina appesa allo spallaccio

Io uso un modello della Peak Design, ma esistono prodotti analoghi di mille case, e dai prezzi più vari. Queste soluzioni sono composte da un morsetto che si fissa allo spallaccio dello zaino all’altezza del petto, e da una basetta che si avvita al foro filettato della macchina. La macchina si incastra tramite la basetta nel supporto, e vi rimane inchiodata in una posizione che, praticamente, vi consente di dimenticarla.

Peak Design Capture Camera V3

Peak Design Capture Camera V3

Questa è la cosa che non si riesce ad intuire finché non la si sperimenta: la macchina attaccata al petto in questo modo non si fa sentire in alcun modo. Certo, deve essere una mirrorless: si può usare questo supporto anche con le reflex, ma 2Kg che premono sul petto si fanno sentire decisamente di più.

Inoltre in questo modo si riesce ad impugnare la macchina, quando serve, molto più velocemente: quante volte ho “mancato lo scatto” perché ho perso tempo nel districare il braccio dalla tracolla, e il camoscio era oramai lontano…

La macchina protetta dalla pioggia

La macchina protetta dalla pioggia

Ulteriore vantaggio: per proteggere la macchina dai fugaci piovaschi, tanto frequenti in montagna in estate, è sufficiente usare… una cuffia in plastica da doccia! Portata in questo modo, infatti, la macchina non ha cinghie o tracolle tra le scatole: appena cadono le prime gocce si estrae dallo zaino la cuffietta (io uso una di quelle date in omaggio negli hotel) e, a meno che non diventi un acquazzone torrenziale, la macchina sopravviverà all’esperienza senza minimamente bagnarsi.

Come è noto, mantenersi idratati durante l’attività fisica è essenziale. Inoltre, piuttosto che bere tanto ma poche volte, è molto più efficace ai fini di una corretta idratazione bere poco ma più spesso. Ma se ogni volta che si vuol bere si devono togliere le mani dai lacci delle racchette, toglier lo zaino dalle spalle, tirar fuori la borraccia, aprirla, richiuderla, rimetterla nello zaino, rimettersi lo zaino in spalla… la voglia di farlo di frequente scappa immediatamente.

Sacca d'acqua

Sacca d’acqua

La soluzione è l’utilizzo di una “sacca d’idratazione“, anche chiamata “camel back” o  “sacca d’acqua“, che consente di avere velocemente a disposizione tutta l’acqua che si vuole, senza doversi togliere lo zaino dalle spalle per bere.

Io uso un modello Decathlon che costa poco più di 10 euro ed ha una capienza di 2 litri; sul mercato ne esistono ovviamente un’infinità, tutte altrettanto affidabili. Praticamente ogni zaino moderno ha una tasca apposita dove alloggiare queste sacche, ed un foro sul fianco attraverso il quale far passare il tubicino. Il tubicino arriva fino ad uno degli spallacci, dove lo si può fissare ad uno degli anelli passanti spesso presenti, oppure lo si può lasciare semplicemente libero. Il beccuccio è sempre a chisura rapida, per cui non c’è il rischio che ci sgoccioli addosso mentre si cammina.

In questo modo si avrà l’acqua sempre a disposizione, e ci si riuscirà ad idratare di continuo e senza il minimo disturbo. Quando si prova la prima volta ad usarla, difficilmente si tornerà indietro: mi pento di averla provata troppo tardi, perché in tutta sincerità un po’ la snobbavo…

La chiusura della sacca è molto efficace, il modello che uso da due anni non ha mai evidenziato la minima perdita: non si deve quindi temere per il contenuto del proprio zaino. Inoltre, contrariamente a quanto temevo, l’acqua contenuta non assume nessun sapore di plastica. Forse l’acqua si scalda un po’ più velocemente rispetto a quando si usa una borraccia classica, ma quando si è molto accaldati bere acqua “non fredda” non è poi così fastidioso.

Per tutti questi motivi, l’utilizzo di una sacca d’acqua al posto della classica borraccia è un accorgimento semplice ma che aumenta di molto il livello di qualità (e quindi di piacere) delle nostre escursioni.

Premessa: so che questa sembrerà una tirata da ciarlatano da luna park che tenta di vendere il rimedio miracoloso, ma la gioia per aver risolto questo problema è tale che amo condividere la soluzione nella speranza che possa rendere felici tanti altri escursionisti.

Uno degli ultimi tentativi: sottocalze sottili con dita...

Uno degli ultimi tentativi: sottocalze sottili con dita…

Ho infatti sofferto a lungo a causa delle vesciche sul tallone, di entrambi i piedi: riuscivo ad evitarle solamente utilizzando scarponi bassi. Quando affrontavo escursioni per le quali ero praticamente obbligato ad usare scarponi alti, oltre a prepararmi all’inevitabile dolore, sapevo che poi avrei dovuto riposare per qualche giorno, per dar modo alle vesciche (che inevitabilmente mi si formavano) di guarire.

Ho davvero provato di tutto: diversi modelli di scarponi, calze di vari materiali, sottocalze di tutti i tipi, pomate varie per ammorbidire il piede prima della partenza, cerotti preventivi sul tallone (normali ed i costosissimi Compeed), cambio delle calze non appena cominciavo ad avvertire un fastidio durante la camminata… niente ha funzionato.

Finché un giorno sono capitato per caso su un video, questo: Avoid blisters when hiking. Il suggeriva di coprire preventivamente la parte soggetta a vesciche con questo nastro cerottato, chiamato Leukotape P. Decisi di provarci, scovai questo nastro su Amazon, ne ordinai un rotolo… e da quel giorno, i miei piedi non hanno più subito il danno di alcuna vescica!

Il cerotto applicato prima dell'escursione

Il cerotto applicato prima dell’escursione

L’utilizzo è molto semplice: prima di partire per l’escursione basta applicare sul tallone una striscia di nastro lunga circa 8 centimetri, cercando di non formare pieghe. Il cerotto è talmente adesivo che non si muoverà più per tutta la durata dell’escursione, e vi accorgerete che rimarrà attaccato anche dopo la doccia, se vi dimenticherete di toglierlo prima. Qui a sinistra una foto del mio tallone dopo aver applicato il cerotto: come vedete, basta una sezione che copra la zona sulla quale normalmente si forma la vescica.

Il cerotto, rimanendo così aderente alla pelle, evita la causa prima della formazione delle vesciche, ovvero il calore per attrito indotto dallo sfregamento della pelle contro la calza. Nel caso in cui vi accorgeste che funziona, ma che comunque vi si è formata una piccola vescica, il consiglio è quello di applicare un secondo strato di cerotto (magari più piccolo), onde isolare ulteriormente la pelle.

Quel che è certo è che, da quel giorno, ho potuto cominciare ad indossare scarponi alti senza il minimo problema. Se volete inorridire, qui c’è una foto dei postumi dell’ultima vescica che mi è venuta in vita mia, particolarmente brutta perché la vescica si era formata sopra una precedente cicatrice di vescica non ancora guarita al 100%. Non appena ho provato questo cerotto, con gli stessi scarponi e le stesse calze che avevano generato questo obbrobrio, il mio problema si è completamente risolto.

Il nastro non è facilissimo da trovare, si trova su Amazon a circa 20€ (l’importante è che sia il modello Leukotape P, attenzione alla P). Non costa poco, ma in realtà vale tant’oro quanto pesa!

Io compro una confezione particolare, che contiene anche un nastro bianco usato, in combinazione con il nastro P, per il trattamento delle lesioni alla rotula. Questa combinazione, per motivi imperscrutabili, su Amazon costa meno del solo nastro P…

La confezione che compro su Amazon

La confezione che compro su Amazon