La tragedia del Castore del 20 luglio 1970
20 luglio 1970
La grave sciagura ieri mattina nei pressi della vetta
Tre alpinisti muoiono sul Castore precipitando per seicento metri.
Una cordata che stava scalando il Polluce è stata testimone della tragedia – Le salme, finite sul ghiacciaio Piccolo di Verra, saranno recuperate stamane da una spedizione di soccorso partita da Champoluc nella serata di ieri – Non si conosce ancora l’identità delle vittime, ma probabilmente si tratta di italiani.
Dal nostro inviato.
Champoluc, lunedì mattina.
Un’altra grave sciagura in montagna. Tre alpinisti, la cui identità non è ancora nota ma che si presume siano italiani, sono morti ieri mattina, precipitando lungo la parete sud-ovest del Castore: un tragico volo di oltre seicento metri, che si è concluso sul ghiacciaio Piccolo di Verra. Le salme saranno recuperate stamane da una spedizione di guide di Champoluc capeggiata da Oliviero Frachey, che è il responsabile del Soccorso alpino della Valle d’Ayas. L’operazione è in corso con il sistema tradizionale: l’elicottero del Soccorso aereo dì Linate, infatti, non ha potuto atterrare nei pressi della zona della sciagura data l’asperità e la pendenza del terreno. Il pilota e la guida Frachey hanno però potuto rendersi conto che purtroppo per i tre sventurati alpinisti non vi era più nulla da fare. « Sono ancora legati in cordata — ha detto Frachey —. Due sono vicinissimi, l’altro è a qualche metro di distanza».
Testimoni della tragedia sono stati alcuni alpinisti che ieri mattina verso le 9, con tempo splendido, affrontavano le impegnative balze rocciose del Polluce, che fa parte del cosiddetto gruppo dei Gemelli. Il Castore raggiunge quota 4230, il Polluce è alto 4097 metri. Entrambi sono alla testata delle valli d’Ayas e di Gressoney, fra il Breithorn e il Monte Rosa, di cui costituiscono una ideale continuazione. In una decina d’anni hanno fatto una quindicina di vittime, pur non presentando difficoltà estreme. L’aerea e facile cresta del Castore, ad esempio, è meta ogni estate di numerose cordate che partono dalle vicine capanne « Quintino Sella » (m 3585) o dal rifugio Mezzalama (metri 3000). Gli alpinisti che stavano scalando il Polluce hanno visto distintamente i tre uomini precipitare nel baratro quando stavano scendendo ed erano a circa cinquanta metri dalla cima.
A dare l’allarme a Champoluc, poco dopo mezzogiorno, è stato l’alpinista torinese Gianfranco Origlia, ispettore del Rifugio Mezzalama, che con la moglie Maria si trovava in gita al Pian di Verra superiore. « Dal Mezzalama scendeva una cordata — egli ha dichiarato — che mi ha detto dell’incidente. Sono subito corso a valle ad avvertire Frachey. Al “Mezzalama” c’è un telefono da campo, ma le pile sono scariche. Inoltre, sulla guida esiste il numero ma la Sip-Stipel non ha ancora fatto il collegamento ». Alle 14,30 atterrava l’elicottero del Soccorso aereo di Linate, che, presi a bordo Guido Frachey, Marco Gagliard e Giuseppe Dondeynaz, si portava verso il ghiacciaio di Verra ed effettuava una prima ricognizione, con la quale si potevano localizzare le salme. Seguivano vari tentativi, infruttuosi, per depositare le guide. Si decideva, quindi, per il recupero tradizionale.
Alle 17 di ieri pomeriggio hanno lasciato Champoluc una decina di uomini, fra cui le stesse guide Frachey, Gagliard e Dondeynaz. Gli altri sono Giorgio e Luciano Colli, Ernesto Frachey, Alberto ed Alfredo Favre. Trascorsa la notte al « Mezzalama », la spedizione ha iniziato il suo triste compito all’alba. Sull’identità delle vìttime non si sa ancora nulla. « Certamente sono tre italiani partiti dal “Quintino Sella” », si dice a Champoluc. Ma anche con il «Quintino Sella» non si può comunicare, perché manca il telefono. Fino a questo momento nessuno si è fatto vivo per chiedere notizie di familiari in montagna. Il triste mistero, quindi, potrà essere chiarito solo stamane, quando le salme giungeranno a Champoluc.
Italo Vaglienti
21 luglio 1970
Due delle vittime sono torinesi: un sacerdote e un impiegato
Recuperate le tre salme degli alpinisti caduti dal Castore nel gruppo del Rosa
La disgrazia è avvenuta domenica mattina – Gli scalatori erano accompagnati dalla guida Remo Passera che ha tentato invano di evitare la sciagura, precipitando anch’egli nel baratro – Per il maltempo sono occorse diciassette ore per portare a valle i tre corpi
(Nostro servizio particolare)
Champoluc, 20 luglio.
Le guide di Champoluc, coadiuvate da volontari e dalle guardie di Finanza della località, in mattinata hanno trasportato a valle le salme dei tre alpinisti precipitati ieri mattina, dopo un volo di oltre 600 metri, sul ghiacciaio di Verrà mentre scendevano dal Castore, una cima che si eleva a 4230 metri nel gruppo del Monte Rosa. L’operazione è stata ardua ed ostacolata dal cattivo tempo: infatti alla base della montagna piovigginava e più in alto scendevano radi flocchi di neve. Purtroppo le voci secondo le quali fra le vittime vi era la nota guida dì Gressoney, Remo Passera, hanno trovato conferma quando la pattuglia degli uomini di punta capeggiata da Oliviero Frachey, responsabile del Soccorso Alpino della valle d’Ayas, è giunta stamane alle tre e mezzo sul luogo della tragedia. Gli altri due alpinisti morti sono il sacerdote salesiano don Michele Bechis, di 40 anni, già vice parroco di S. Rita a Torino ed ora parroco di Santo Natale, una nuova parrocchia torinese, e Giovanni Marchesino Comoglio, di 35 anni, impiegato all’esattoria della Cassa di Risparmio a Venaria, sposato e padre di due bimbe in tenera età.
La guida Remo Passera era nato a Vigevano, aveva 44 anni. Da oltre 15 si era stabilito a Gressoney la Trinité. Segretario della locale società delle guide, proprietario dell’hotel Sport, era sposato con Ivonne Busca: era padre di una bimba di 11 anni, Viviana. Portatore dal 1957, guida dal 1963, aveva al suo attivo molteplici scalate impegnative in special modo nel gruppo del Rosa. Nel 1968 era stato insignito dell’Ordine del Cardo per aver salvato due alpinisti rimasti incrodati per tre giorni sulla cresta Signal. Appussionato cineamatore, aveva avuto numerosi premi per documentari sulla montagna. Lo scorso anno Remo Passera era rimasto gravemente ferito in un incidente stradale nel quale morì la guida Bruno Welf. Il 18 marzo scorso, nel vallone di Sassolungo a Selva di Val Gardena; era scampato alla valanga che travolse Toni Gobbi e tre altri componenti la comitiva che prendeva parte alla «haute route» dei monti Pallidi nella prima uscita delle settimarie sci-alpinistiche di primavera.
Secondo Oliviero Frachey, la sciagura è dovuta ad una tragica fatalità: « Impossibile pensare — egli ci ha detto — che Passera non abbia attuato tutte le precauzioni del caso scendendo dal Castore». Del resto anche altre guide ed alpinisti famosi hanno perso la vita sulle Alpi in seguito a banali incidenti su montagne non eccessivamente difficili come il Castore che è un’aerea e facile cresta che è méta ogni estate, dì numerose cordate che partono dal rifugio Mezzalama o dalla vicina capanna Quintino Sella.
Passera, con i suoi due compagni saliti espressamente sabato da Torino a Champoluc per scalare il Castore e compiere la traversata fino a Plateau Rosa e quindi ridiscendere per Cervinia, si era appunto incontrato al Sella salendovi da Gressoney. Testimoni della sciagura, avvenuta verso le nove di domenica, sono stati alcuni alpinisti di Biella che scalavano il vicino Polluce. Essi hanno dichiarato che videro uno dei tre scivolare e precipitare verso il baratro. Gli altri due cercarono di trattenere il « volo » ma furono a loro volta trascinati per oltre 600 metri andandosi a sfracellare sul ghiacciaio sottostante del Piccolo Verrà. L’allarme poteva essere dato solo verso mezzogiorno. Al rifugio Mezzalama infatti il telefono non funzionava perché le pile erano scariche. Veniva richiesto l’intervento di un elicottero del Soccórso Aereo di Linate che però non poteva atterrare nei pressi della sciagura per l’asperità e la pendenza del terreno. Si poteva però accertare che per i tre alpinisti non vi era più nulla da fare. Nel tardo pomeriggio le spedizioni di soccorso raggiungevano il rifugio Mezzalama ed iniziavano la pietosa opera del recupero, terminata come abbiamo detto stamane verso le dieci: in totale 17 ore ed una ventina di uomini impiegati.
A Champoluc nelle prime ore del pomeriggio di oggi sono giunti i familiari delle vittime. I cognati della guida Passera, i cognati ed il suocero dell’impiegato Comoglio, la sorella ed il cognato di don Bechis. Le salme, racchiuse in appositi sacchi, erano coperte di mazzi di fiori posti dai numerosi villeggianti di Champoluc, scossi da questa tragedia della montagna. In serata le salme sono state traslate a Gressoney ed a Torino. A Gressoney era in attesa Ivonne Busca Passera che si è gettata sulla bara del marito piangendo. Un’altra vedova nel frattempo, la signora Comoglio, viaggiava alla volta di Venaria: la notizia della morte del marito l’aveva raggiunta a Loano, dove si trovava in villeggiatura con le sue due bambine.
Italo Vaglienti